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Il datore di lavoro è responsabile per le cadute dall'alto

13/10/2015

La Cassazione Penale, Sez. IV, con sentenza n. 13865 del 1 aprile 2015 ha confermato la decisione assunta dai giudici del merito sulla condanna del datore di lavoro, a causa di una caduta al suolo di un operaio, per aver omesso di valutare il rischio lavorativo di caduta dall'alto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 96, comma 1, lett. g)), e per non aver adottato le opere provvisionali idonee ad eliminare il pericolo di detta caduta (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 122).

Il fatto
Un operaio, che si stava occupando di imbiancare la parete di un capannone, ponendosi sopra due tavole sistemate a 2,6 metri di altezza sui muri di un bagno, perdeva l'equilibrio e cadeva al suolo; in seguito all'accaduto, lo stesso riportava un trauma cranico e diverse fratture, tali da renderlo incapace di svolgere le sue mansioni per un periodo superiore ai 40 giorni.
In primo grado, il Tribunale di Milano, condannava il legale rappresentante dell'impresa edile per il reato di lesioni colpose, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Nello specifico, l'accusa gli contestava l'omessa valutazione del rischio lavorativo di caduta dall'alto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 96, comma 1, lett. g)), e la mancata adozione delle opere provvisionali idonee ad eliminare il pericolo di detta caduta (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 122).
Il datore di lavoro decideva di ricorrere in appello, e la corte territoriale riformava la sentenza di primo grado, soltanto nella parte in cui concedeva di non menzionare la condanna nel certificato penale.
Pertanto, l'imputato proponeva il ricorso per Cassazione.

Secondo la Cassazione Penale
Gli Ermellini hanno ritenuto infondato il ricorso del datore di lavoro, il quale aveva sollevato censure sull'erronea interpretazione delle risultanze istruttorie e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il collegio ha ritenuto la prima censura priva di rilievo, in virtù del fatto che la prova della responsabilità dell'imputato fosse stata raggiunta attraverso la valutazione sia delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sia degli elementi di prova estranei a quelle dichiarazioni.
Pertanto, i giudici di merito hanno correttamente ricostruito gli eventi e le circostanze attraverso le dichiarazioni testimoniali.
Quanto al secondo motivo di ricorso, sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, la corte ha rilevato che non ci fosse alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata.
Difatti, per giurisprudenza consolidata, la sussistenza delle circostanze attenuanti (art. 62 bis c.p.), può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, e non può essere sindacata in Cassazione.
In particolare, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio.
Sulla base di queste osservazioni, gli ermellini hanno ritenuto che la corte territoriale avesse correttamente deciso sulla questione in esame, dato che non c'era nessun elemento positivamente apprezzabile che facesse propendere la decisione per la concessione della attenuanti generiche, dato che il lavoratore infortunato non era stato regolarmente assunto e, in corso di giudizio, il datore di lavoro aveva negato che lo stesso lavorasse alle sue dipendenze e in seguito non aveva provveduto al risarcimento del danno.
Per tali ragioni, la Cassazione Penale ha ritenuto il ricorso infondato.